Non c’é trippa per gatti

Gattone

Non c’è trippa per gatti

un apologo e una lezione di storia

Testa

C’era una volta un sindaco. Parliamo di Ernesto Nathan. Fu il primo sindaco di Roma Capitale. D’origine inglese, sulla sua famiglia ebbe una grande influenza Giuseppe Mazzini, negli anni dell’esilio londinese. Per lui fu un’ascendenza determinante che continuò anche quando si trasferì in Italia.

 

Nel 1888 Ernesto Nathan prese la cittadinanza italiana; fu progressista, laico, massone, parlamentare della sinistra storica e figura preminente in una capitale che contava poco più di duecentomila abitanti. Quella era una realtà fatta di gente in gran parte analfabeta, sulla quale era difficile incidere, nonostante le idee di progresso di gente come lui.

 

Ricordiamo qui Ernesto Nathan perché si batté a favore dell’infanzia creando asili e per la formazione professionale dei giovani. Era stato eletto sindaco nel 1907 e dovette governare e lottare contro la gigantesca speculazione edilizia del suo tempo. Lo fece in maniera intelligente e con costrutto, mettendo mano al primo piano regolatore, in senso proprio, che ebbe la città di Roma.

 

Alla fine dovette soccombere.

 

Croce

Ernesto Nathan non è noto se non a quei pochi a cui, di tanto in tanto, la gente dei media lo ricorda in ragione del fatto che produsse il detto: “Non c’è trippa per gatti”. Così oggi si utilizza quell’espressione per significare che da una data situazione non c’è nulla da trarre e che per rimediare qualcosa ci si deve rivolgere altrove o altrimenti. Ecco quindi il fatto che determinò quel modo di dire: Ernesto Nathan avrebbe pronunciato la frase cassando da un bilancio comunale il capitolo di spesa: “Trippa per gatti, sottolineando, di fronte a un funzionario attonito, che – in quel momento di ristrettezza finanziaria – i gatti capitolini avrebbero dovuto sfamarsi con i topi o soccombere…

 

Cento anni dopo sono molte le testimonianze che fanno dire, a noi analfabeti del nostro tempo, che “Non c’è trippa per gatti”. Con l’espressione sottolineiamo oggi contingenze cogenti e imperative che ci portano a concludere che è finita una specie di età dell’oro, nelle cui illusioni ci siamo cullati per troppo tempo. La situazione economica è in rovinosa caduta, non parliamo poi dell’occupazione. L’impoverimento delle famiglie si accresce ecc. Torna persino ad aleggiare uno spettro, con le vesti di un falso cieco, che sembrava non avesse più campo. Lo hanno evocato augusti giudizi che minano l’indipendenza dei poteri sancita dalla Costituzione. Ci conforta solamente pensare che chi li ha manifestati durerà ancora per poco tempo.

 

Si può porre un freno consapevole a quanto sta capitando? Ragioniamoci, rimbocchiamoci le maniche e risvegliamo antichi saperi dalle carte dei padri della patria repubblicana. Risvegliamo l’intelligenza cominciando col prendere atto che “Non c’è trippa per gatti”. La situazione politica è in stallo ed è indispensabile che si agisca presto. A tal fine dobbiamo tutti renderci parte attiva e avviare un dibattito democratico produttivo che porti a realizzare misure per la crescita. Bandiamo gli utilitarismi. Utilizziamo le armi della critica. Facciamo sì che i parlamentari siano consci delle esigenze impellenti e si attivino per realizzare un programma di governo, anche minimo, fondato su punti fondamentali e condivisi. Altrimenti ci si deve rivolgere ad altri con un cambiamento elettorale… Ci si ricordi che i gatti capitolini vivono ancora!

 

Egidio Pentiraro

Computer in education.

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Computer in education.

La presunzione di indicare alcune pietre miliari.

Che cosa può esserci di nuovo o di diverso nei prossimi anni? E’ presto per dirlo!

Possiamo cominciare chiedendoci che cosa ci pare già come vecchio.

 

Stanno avvenendo grandi mutamenti nelle tecnologie informatiche, nella rete e nella la comunicazione che si veicola con inevitabili riflessi sull’educazione. Tutto ciò impatta sul computer personale, sui suoi epigoni e sulle relative evoluzioni, comprese quelle in rete. Tutto ciò entra di necessità negli strumenti di lavoro degli educatori.

Ciò quindi induce la domanda: “Come è cambiata la logica e la prassi che si è posta nel pensiero educativo?”.

Qual è l’impatto che questi mutamenti hanno sulle tecnologie educative poiché interagiscono nel contesto al quale si applicano?  Mentre le prime, pur numerose, sono ricostruibili se si seguono i fili rossi che inducono, si rimane sconcertati se si esamina la variabilità che le loro applicazioni comportano nei contasti educativi. Questi oggi sono notevolmente diversificati a causa del melting pot che li domina per il ribollio delle diversificazioni del linguaggio, del costume indotti dall’ impatto delle mode e della pulsione dei media.

Negli anni ’80 del secolo scorso l’analisi di questi aspetti era più immediata. Non erano ancora emersi i “Nati digitali”. L’ignoranza propria della “non conoscenza” era facilmente individuabile. Bastava distinguere tra alfabeti informatici e quelli che non lo erano. In tal modo il quadro si faceva più chiaro. Le regole invalse in campo educativo erano date dal fatto che in primo luogo si doveva disporre delle conoscenze presenti in campo pedagogico, poi della cultura manualistica di cui si disponeva in campo informatico, quindi si lavorava applicandole. Solamente in pochi, e noi tra questi, si ostinavano a porre in primo piano la necessità e la conseguente importanza del pensiero scientifico sviluppato secondo un modello logico matematico. Tutto ciò per noi prendeva il nome di “educazione al pensiero informatico p logico strutturato” ma era perlopiù assente in campo educativo. Vi dominava invece quello sequenziale (se A è uguale a B e B è ugnale a C, allora A è uguale a C; prescindendo dalla condizioni intrinseche di A, di B e di C e delle loro caratteristiche che si applicavano in una programmazione strutturata).

Quel quadro di riferimento oggi muta a causa dell’incremento dei processi digitali sempre nuovi collegati a risorse tecnologiche che si rinnovano di contino.  Così avviene che si possa fare comunicazione (variamente a seconda delle cultura e delle classi di appartenenza, ad esempio, con il contenuto scarno e impressionistico del Messaggio che si veicola all’occasione attraverso la Posta Elettronica, Facebook, o twittando con 140 caratteri). I contenuti procedono con livelli di andata e ritorno che sono altalenanti e che coinvolgono, ed esempio, il garzone incolto il politico, il giornale. ecc.

Su tutto ciò impatta ulteriormente il progresso della tecnologia, la moda, il circuito mediatico ma non l’intelligenza. Il tutto in attesa che una nuova ventata induca altri comportamenti, come sta avvenendo, ad esempio con il cosiddetto “selfie” o avviene ancor di più nella forma della comunicazione dove l’immagine fissa sostituisce la parola. Questa si riduce perlopiù a un’istantanea, labile e effimera negli Istagram, (3,5 mila miliardi di foto scattate l’anno scorso) prese con diversi strumenti digitali in formato standard e modificabile, condivise istantaneamente su diversi social network, individuali o accoppiati a Facebook, Twetter, Flicker, ecc.

Nascono e comunicano in questo modo gli “Idioti digitali” che con un braccio alzato impugnante un apparto atto a fotografare e scambiano loro parti celebrabili di sé. Se capita di ascoltare una qualche loro intervista si scoprono sia la povertà della forma, sia del contenuto che esprimono.

Si chieda quindi l’educatore a che cosa vale in questo contesto la “biblioteca digitale”, che purtuttavia esiste in modo più o meno ordinato o più o meno orchestrato! Essa contiene di tutto e il contrario di tutto. Non la si analizza con le armi della critica. Soprattutto questa non vengono fornite! E’ con queste realtà che convive l’intento didattico.

Così nel contesto che ho appena divisato le “Competenze digitali” o le “Competenze informatiche di base” sembrano avviarsi per un percorso sempre più difficile.

In conclusione, pare arduo che si possa realizzare attraverso di esse la speranza di un’autentica formazione al pensiero logico – strutturato e che esse siano epigoni del pensiero matematico.  Troppo spesso i tentativi che si fanno conducono a realizzare un “Soprattutto”. Occorre evitare il pericolo di attuare un semplice addestramento alle nuove tecnologie che “Oltretutto” è limitato dalla sempre più breve vita delle stesse.