On & Off intervistano il Cloud Computing

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On & Off intervistano il Cloud Computing

di Egidio Pentiraro

On: «Da tempo mi pungeva vaghezza di invitare “Il Cluod Computing” per un’interista.».

Off: «Naturalmente lei si esprime in modo scherzoso per dire che le sembra opportuno capire quale realtà si nasconda nel “Cluod Computing” e precisamente nei processi di memorizzazione o Cluod storage che sono un’opportunità e non una moda.».

On: «Certo “Il Cluod Computing” è un personaggio virtuale relativamente nuovo che ha avuto negli ultimi tempi uno sviluppo enorme nella tecnologia dell’informazione. Soprattutto è importante che lo conoscano non solamente le grandi organizzazioni ma anche tutti coloro che utilizzano gli strumenti dell’informatica personale di ogni tipo: dal laptop computer allo Smartphone. Gli utenti spesso si aggiornano sugli strumenti con i quali operano ma non si curano delle novità che avvengono all’esterno del mondo delle innovazioni del loro settore.».

Off: «Vuol dire che fanno come gli struzzi che, secondo la credenza comune, nascondono la testa sotto la sabbia e non prendono coscienza degli aspetti positivi delle situazioni che li circondano?».

Off: «Tuttavia è così! Per presentare il “Cluod Computing” incomincerei come sempre dalla sua storia.  Vorrei iniziare citando Joseph Carl Robnett Licklider, uno dei padri dell’informatica, che sin dai tempi di Arpanet concepì il paradigma dell’archiviazione, elaborazione e trasmissione dei dati informatici appunto in quella rete.».

Off: «Che manie! Quelle erano applicazioni e propositi che circolavano tra gli iniziati. Solamente con l’avvento di Internet, quindi in tempi a noi più vicini, è stato messo a punto un paradigma informatico, cioè un modello di riferimento fondamentale, che consente, su richiesta degli utenti del sistema (on demand quindi) di conservare le proprie strutture di dati in server virtuali  per riottenerli all’occorrenza e sempre su richiesta, in tutto o in parte. Queste procedure sono attive e configurabili mediante  la rete stessa in server dedicati di terze parti e di grandi dimensioni. In tal modo gli spazi di memorizzazione si compongono e ricompongono come le nuvole mediante applicazioni di software e risorse informatiche. Ecco quindi la metafora che ne rappresenta il nome».

On: «Bravo signor Off, vedo che si è documentato. L’argomento è complesso, difficile, la sua struttura è pervasiva. Tanto che è esplosa in tutti i paesi dove tutti i grandi operatori vi si sono gettati sviluppando applicazioni cloud tanto da affermare che nessuno può permettersi di ignorare questa nuova realtà informatica.».

Off: «Sì ho studiato ma ci ho capito poco. Da quando mondo e mondo esistono l’ archiviazione, l’elaborazione e la trasmissione dei dati informatici con i computer di ogni tipo e foggia, compresi gli Smartphone e i Tablet, ecc. Anche nei sistemi Client/Server forniti dagli Internet provider. Dove sta allora la novità?».

On: «Perché non fare entrare il nostro personaggio virtuale e chiedergli come stanno le cose?».

Cloud:)  :«Eccomi! Mi presento solitamente come una nuvola: cloud si dice in inglese ma in questa intervista sono mascherato da emoticon in grado di trasmettere più il senso del fenomeno che la descrizione della sua meccanica. In merito all’osservazione del Signor Off devo ribadire che l’utente di un sistema collegato in internet può oggi trasferire su un Cloud gran parte dei dati della sua struttura ICT (che vuol dire Tecnologie dell’ informazione e della Comunicazione, ossia l’uso di una tecnologia specifica per la gestione e il trattamento dell’informazione).».

Off: «Dice un prospero! Che cosa significa? Come si fa? ».

On: «Vuol dire che un utente può pure continuare a elaborare, memorizzare, utilizzare i suoi dati sul suo sistema elettronico, cioè sull’apparato di cui è dotato, anche sul sistema Client/Server che eventualmente un provider gli ha fornito. Invece nel Cloud computing entrano in gioco enormi server che possono interagire tra loro eventualmente scambiandosi spazi di memorizzazione, se necessario. Ormai esistono diversi sistemi di questo tipo. Sono a disposizione di organizzazioni complesse – grandi, medie e piccole – a pagamento ma anche ad uso di piccoli utenti come i privati che possono fruire di piccoli spazi gratuiti oppure a bassissimo costo. Grandi e piccoli utenti possono quindi accedere oggi a qualcosa di nuovo.».

Off: «Può farci qualche nome?».

Cloud:)  :«Ne ho scelti alcuni. Ad esempio:

Sistemi cloudSono nell’ordine Open Drive; Dropbox; Google Dirive; iCloud, ma ne sono stati sviluppati tanti altri come ad esempio nel nostro Paese TI CLOUD di Telecom Italia Per ognuno occorre creare un account, con username e password. Tutti naturalmente sono accessibili online. L’aggiornamento avviene grazie a un software inserito nel loro interno che si chiama “local agent”, per cui basta mettere in una cartella del proprio sistema i documenti di cui si vuole fare una copia online e spedirla nel Cloud. Il salvataggio dei dati avviene in automatico. Dopo i dati si possono ulteriormente aggiornare e correggere. Un’avvertenza per chi vuole scegliere un sistema di Cloud Computing: si deve porre attenzione al sistema operativo del proprio dispositivo di collegamento. Infatti alcuni dei Cloud sopra citati consento facilità d’uso rispetto a Windows, Linux, Apple OS, Android, iOS standard, ecc.».

On: «Occorre però precisare che il cloud non elimina il lavoro che si compie solitamente sul disco del proprio sistema e inoltre che esistono diversi tipi di servizi di Cloud a seconda che la modifica dei documenti avvenga direttamente oppure online. Insomma bisogna porre attenzione alle possibilità di editing che offrono i vari sistemi; cioè: di visione delle versioni; dello sharing che dà la possibilità di condividere i documenti con altri utenti consentendo, tra l’altro, il lavoro di gruppo, ecc.».

Off: «Non per saltare di palo in frasca ma forse comincio a capire. Ad esempio ciò forse è quello che accade con i servizi di posta elettronica. L’utente gestisce la propria corrispondenza sui propri dispositivi inviando mail con allegati anche di grandi dimensioni e vi accede quando e dove vuole, anche con risorse non proprie e in qualsiasi parte del mondo. La sua posta elettronica e la sua memorizzazione, ad esempio quella Gmail, è stoccata chissà dove.».

On: «Inoltre l’utente può anche gestire con i propri programmi, o con quelli del Cloud: contatti, calendari, foto, musica, libri, film, TV interattiva, applicazioni e altro e accedervi da tutti i suoi dispositivi e ovunque.».

Cloud:)  :«È proprio così come avete detto voi. In particolare lei, signor Off, richiamando l’esempio della posta elettronica ha prodotto un buon esempio. Evidentemente il sistema deve essere protetto dalle intrusioni di chicchessia, deve essere sicuro e affidabile. Ma di questo dirò in seguito…. Per capire guardi la figura che mi rappresenta qui.  Significa che sotto di me c’è una rete Internet con un insieme di dispositivi.

uomo cloud

Per cortesia di: http://www.sevacall.com/

Permettetemi di ricordare che attraverso di me (Cloud Computing è l’acronimo più usato nel mondo ma anche infomatique en nuage o nuagique nei paesi francofoni; di lingua russa облачные вычисления,ecc.) si accede allo sviluppo di un’infrastruttura in cui la potenza di calcolo e lo stoccaggio del calcolo sono gestiti (lo ripeto ad abundantiam) da server remoti a cui gli utenti si connettono tramite una connessione Internet sicura. Il computer desktop o portatile, telefono cellulare, Smartphone e altri oggetti connessi diventano i punti di accesso per eseguire le applicazioni e i dati che sono ospitati su capacissimi server. Il Cloud si caratterizza anche per la sua flessibilità consentendo ai fornitori dei grandi server di regolare automaticamente, sia la scelta della capacità di memorizzazione, sia di tener conto di varie altre esigenze degli utenti.»

Off: «mi permetta un paradosso che mi consente di capire: il Cloud Commputing utilizza le risorse di elaborazione come avviene per l’elettricità alla quale si ricorre secondo la necessità, piuttosto che disporre di un generatore di corrente elettrica che si mantiene in casa e che resta sempre acceso.».

Cloud:)  : «Si è così. Il Cloud Computing si attua in particolare attraverso i servizi di archiviazione e la condivisione di dati digitali come avviene nei sistemi sopra ricordati dove gli utenti possono memorizzare contenuti personali (foto, immagini, video, musica, e film in streaming, documenti elaborati con tutte le suite di office automation, ecc.). Questi sistemi hanno un software specifico che presidia alla memorizzazione e agli aggiornamenti. Si chiama “Local Agent”. Basta mettere in una cartella del proprio computer i documenti di cui si vuole avere la copia nel Cloud. Porla on line e da quel momento il salvataggio dei dati avviene automaticamente.».

On: «Quindi alcune grandi compagnie che offrono il Cloud Computing gestiscono solitamente data center di notevolissime dimensioni. Gli utenti affittano capacità di memorizzazione e la usano per le proprie necessità. Gli operatori dei data center permettono la fruizione di risorse in accordo con le richieste dei cliente (a seconda dei diversi Cloud) e le pubblicano comportandosi come server virtuali che i clienti possono gestire in autonomia, per quanto loro consentito da norme e regole d’uso. Fisicamente le risorse possono essere distribuite un po’ qua un po’ là su più server in maniera che non è trasparente per l’utente.».

Off: «Ci parli ora della sicurezza dei dati. I nostri computer sono insidiati continuamente da spyware e malware. A malapena ci difendiamo con antivirus sempre più potenti e con firewall invalicabili. Ci siamo quasi abituati a che la nostra posta elettronica sia monitorata da chissà quali grandi organizzazioni… Lei quali garanzie offre? .».

Cloud:)  :«La prima cosa da porre in rilievo e la sicurezza dei nomi utente e delle password e poi dei servizi di crittografia avanzata che ogni Cloud pone in essere. Anche qui le novità non mancano come ad esempio la Crittografia Omomorfica. Insomma possiamo concludere che con i browser dell’utente è in vario modo protetta la fase critica del va e vieni dei dati dal sistema che utilizza ai data center dei servizi di Cloud.».

On: «Una cosa è certa: il Web dovrà garantire la massima sicurezza agli utenti in previsione del un momento non lontano in cui tutto sarà online a causa dell’ubiquità che Internet assicura al Cloud. Forse ci vorrà ancora molto lavoro ma in attesa di quel momento continueremo a seguire il nostro ospite e lo intervisteremo nuovamente se avrà novità da segnalarci. Per il momento anche a nome del Signor Off lo ringrazio sentitamente per la collaborazione che ci ha prestato oggi.»

Egidio Pentiraro.

Altre interviste di ON & Off in questo Blog e nel volume richiamabile dal cloud cliccando: On-Off-Interviste-virtuali-al-computer

UNA NUOVA BIBLIOTECA D’ALESSANDRIA?

Se iniziassi questo articolo riproponendo, senza darne ragione, alcuni celebri documenti audiovisivi d’epoca, come ad esempio:

  • l’audizione di Le Pont Mirabeau, recitata dalla viva voce di Guillaume Apollinaire;
  • la visione di una fotografia di Nadar;
  • l’ancor più noto filmato intitolato L’arrivo del treno alla stazione di La Ciotat,
  • la visione di un altro filmato scaricato del Giornale Luce girato (dicono) nel 01/09/1943 nel porto di Taranto  con il titolo “Tornano le bianche navi dall’Africa Orientale“;

se li riproponessi tout court mediante un computer, il lettore forse non potrebbe intendere il senso e la suggestione che mi propongo di trasmettere con questo scritto.

Il recupero di quei documenti dalla rete non comporta alcunché di inedito tuttavia riproponendoli voglio condurre il lettore a riflettere sulla sostanza della trasformazione intrinseca subita da quei documenti quando, dai loro supporti analogici, sono stati resi in digitale. Allo stato nativo erano fruibili, sia visivamente su carta, sia attraverso macchine specifiche atte a riprodurre la pellicola o un nastro magnetico analogico o altro. Ciò equivale a dire che allo stato nativo erano prigionieri del loro supporto. I processi di digitalizzazione li hanno invece resi manipolabili, memorizzatili e trasmissibili sino a renderli disponibili comunque e dovunque in rete con strumenti idonei al loro accesso. Tuttavia essi sono anche reversibili rispetto al supporto analogico di transizione.

Collezione, raccolta, custodia nelle teche

Tutto ciò mi porta a sottolineare la diversità dei sistemi di collezione, raccolta e custodia dei documenti e la diversità della loro conservazione nelle teche; ma non è questo che qui mi interessa precipuamente di approfondire. Lascio che lo faccia il lettore, se lo crede.

Mi soffermo invece sui processi di trasformazione che quei documenti hanno subito. Eccoli in sintesi:

  • Primo documento. Era il 24 dicembre del 1913, quando Ferdinand Brunot, un tecnico della Pathé, lavorando sugli studi dell’abate Rousselot, padre della fonetica sperimentale, creò alla Sorbona, con l’aiuto di Émile Pathé, un vero e proprio studio di registrazione (diremmo oggi), chiamandolo “Les Archives de la Parole”. Era la prima pietra dell’istituto di fonetica dell’Università di Parigi, embrione della fonoteca nazionale. Quello stesso mattino Brunot e un gruppetto di scrittori: Paul Fort, André Salmon e il citato Guillaume Apollinaire, si adoprarono per tentare una prima incisione in voce su un tamburo di cera che ruotava in un’apposita macchina. Apollinaire recitò tre sue poesie: Le Voyageur, Marie e Le Pont Mirabeau. André Salmon testimoniò in seguito che Apollinaire, udendo per la prima volta la propria voce, se ne mostrò stupito provando difficoltà a riconoscersi, ma Il prodigio era comunque compiuto. Quell’incisione sul tamburo di cera, trasferita poi su supporti analogici diversi, è stata oggi digitalizzata ed è fruibile ovunque in rete. Anche da questo articolo.
  • Secondo documento. La ricostruzione è certamente meno eclatante. Ritrae Nadar, pseudonimo di Garpard Félix Tournachon, considerato uno dei padri della fotografia. La foto in questione è stata presa, come altre simili a ‘partire dal 1865 nello studio di Nadar dove era appeso il cestello di una mongolfiera. Non ci interessa tanto se costituisca il falso di un’ascensione in pallone quanto il processo che ha subito quella lastra fotografica poi divenuta una pellicola e quindi un cliché idoneo alla stampa tipografica nell’esemplare di un libro conservato in una celebre biblioteca americana. Ora quella foto è qui recuperata attraverso la rete Internet ed riprodotta nell’articolo;
  • Terzo documento. Riguarda uno spezzone di pellicola che concerne L’arrivo del treno alla stazione di La Ciotat. È stato prodotto dei fratelli Auguste e Louis Lumière ed è considerato universalmente la prima testimonianza di una ripresa cinematografica in diretta. È una sequenza di immagini distinte impresse su pellicola quindi stampate con un processo fotografico che i fratelli Lumière chiamavano cinématographe. Di lì è iniziato il viaggio digitale e la riproduzione qui riportata.
  • Quarto documento. Riguarda uno spezzone di filmato tratto dalla Settimana Incom datato Primo settembre 1943 (ma questo è un falso infatti quelle navi arrivarono il 12 agosto e la pizza misteriosamente è datata 1 settembre). Ciò poco conta è il titolo del documento su YouTube “”;Per il resto vale quanto ho detto per i processi subiti dagli altri documenti.

 

Migliaia di esempi.

Potrebbero essere migliaia gli esempi simili a quelli prodotti. Emblematicamente ne ho scelti quattro. Oggi quei documenti sono disponibili in teche multimediali nelle quali trovano il loro unicum nel fatto di essere espressi con sequenze di 0 e di 1, ma anche in teche analogiche tradizionali.

Ecco quindi che con riferimento alle teche digitali è lecito affermare il paradosso espresso nel titolo: “è possibile prevedere una nuova Biblioteca d’Alessandria?”

Forse sì, a meno che l’enorme potenziale di cui oggi disponiamo, non trovi un limite in quello che potrebbe sembrare un semplice dettaglio, ma non lo è: ossia, proprio nei sistemi o motori di ricerca che consentono il reperimento delle informazioni che descrivono i documenti.

Il dubbio è giustificato soprattutto, se si considera che il sistema di riutilizzo delle risorse hardware è condizionato da questi fattori: 1. Dai descrittori dei documenti che sono testuali; 2. Dallo sviluppo dei motori inferenziali che operano su algoritmi che simulano comportamenti logico deduttivi di “forward chaining”, o  “backward chaining”, quando sono induttivi; 3. Dalla scarsa efficacia del ritrovamento attraverso la ricerca per immagini. Inoltre il sistema è inficiato dall’accesso tuttora basato sul sistema del nostro computer utente e della macchina che lo serve; e così pure di quelle collegate. Per non dire della disposizione consequenziale dell’informazione, destinata ad accrescere di continuo il “rumore” e la ridondanza, che sempre di più accompagnano le informazioni reperite.

La soluzione, non volendo cedere al pessimismo, sta nella ricerca di una nuova “filosofia” della memorizzazione, dell’accesso e della fruizione delle informazioni, che consenta un modello “ibrido” di accesso e di sfruttamento delle risorse offerte dai computer, dalle reti, da Internet. Come dire che superi la nozione del computer “cliente” dell’informazione, e corrispettivo computer “servente”.

Fortunatamente si profilano nuove funzionalità, residenti nei server web, piuttosto che nei singoli computer connessi in rete. Tutto ciò può trovare soluzione nel cloud computing; per effetto del quale i server web sono collocati nelle nuvole, clouds per l’appunto.

Non è che l’inizio di una nuova era che lascia intravvedere processi e ipotesi che portano a generare altri documenti.

 

Manipolazione di documenti

Ho appena accennato alla manipolazione di documenti. Forse sarebbe più corretto palare di trasformazione di documenti o di generazione di nuovi documenti. A riprova, vorrei dare un esempio mostrando come un documento possa essere utilizzato per generare un altro documento figlio che incorpora, per così dire, i geni del documento padre.

Parto dal “Quarto documento” citato che riguarda le riprese di Taranto del 12 agosto 1943.Il documento riguarda il ritorno di due Navi Bianche: la Vulcania e la Saturnia giunte a Taranto dall’Eritrea dopo un viaggio di 45 giorni. Quelle navi avevano compiuto il periplo dell’Africa con il loro carico di profughi.

Avevo allora quattro anni e con mia madre eravamo su quelle navi con circa quattromila profughi.  Precisamente eravamo imbarcati su la Vulcania.

È stato così che visionando il filmato dell’arrivo a Taranto è stato possibile creare un collegamento tra quella vicenda con la mia vicenda personale.

Infatti tra i pochi profughi ripresi allo sbarco sulla banchina di Taranto mi sono riconosciuto con mia madre.

Taranto Sbarco

Ho scomposto il filmato fotogramma per fotogramma. Ho confrontato la mia immagine con fotografie prese in Eritrea e poi a Ferrara. Non ci sono dubbi. Siamo noi!

Ho ripreso una mia storia in un libro che è in prima stesura. Si intitola Quadri Apocrifi. È descritta alle pagine prima e dopo la 144. Per chi volesse leggerlo in edizione provvisoria.

Egidio Pentiraro